Restaurato dal CCR, grazie al contributo della Fondazione CRT, l’ascensore storico utilizzato agli inizi del Novecento dalla prima regina d’Italia alla Palazzina di Caccia di Stupinigi
Entra a far parte del percorso di visita della Palazzina di Caccia di Stupinigi un manufatto originale e inaspettato, un “nuovo ritrovato dell’industria” secondo i documenti dell’epoca, che riporta i visitatori agli inizi del Novecento, quando la residenza era abitata dalla Regina Margherita di Savoia, vedova del re Umberto I, e dalla sua corte.
L’ascensore, realizzato dalle Officine Meccaniche Stigler di Torino nel 1905 circa, serviva per accedere solo al primo piano, livello in cui erano predisposti gli appartamenti residenziali della corte della regina. A quell’epoca la Regina Margherita viveva nell’appartamento di Levante e la sua prima dama di compagnia, la marchesa Paola Pes di Villamarina, nell’appartamento denominato Appartamento del Re. L’elevatore rientra nell’ambito dei lavori di riammodernamento richiesti dalla regina, vedova, che fece diventare la Palazzina di Stupinigi una delle sue residenze prevalenti. Tra il 1902 e il 1915, infatti, il palazzo venne dotato di numerosi accessori finalizzati alla sua comodità, tra cui il potenziamento dell’impianto di riscaldamento, i servizi di ritirata all’inglese con acqua corrente e lavandini con acqua fredda e calda, la corrente elettrica e, appunto, l’ascensore che si presentava a pompa idraulica, dotato di una cabina lignea con porta scorrevole, vetri smerigliati nelle otto finestre, pulsantiera in bachelite, di cui rimangono solo tracce, e coronamento con motivo a balaustrini torniti. L’ascensore non rimase in servizio a lungo, ma fu ancora usato dal personale del Museo d’Arte, Storia e Ammobiliamento quando la Palazzina diventò Museo nel 1919.
Il restauro è stato effettuato dal Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale, grazie al contributo della Fondazione CRT.
Dell’antico ascensore a Stupinigi si conservava, come sospesa nel tempo, la sola cabina lignea poiché la strumentazione elettrica e “a pompa idraulica” come descritta nei documenti non era più conservata. Il vano che ospita la cabina lignea era stato separato dal piano interrato, dove doveva essere presente la parte di impianti, e dal piano superiore da tramezzi costruiti nel corso della seconda metà del Novecento. La cabina si conservava non del tutto integra nelle parti interne ma manteneva ancora le due porte che consentivano di accedere al vano e i vetri storici in opera. L’ascensore era illuminato internamente e aveva una pulsantiera non più conservata. Il restauro è stato un momento di studio per approfondire questa tipologia di manufatti anche confrontandosi con altri casi di restauro di ascensori storici affrontati per altre residenze sabaude, come quello del Castello di Moncalieri.
Il restauro ha interessato il risanamento della struttura in pioppo e dell’impiallacciatura in noce che presentava distacchi e deformazioni a causa di umidità. Il cupolino, decorato con motivo a balustrini, aveva numerose mancanze che sono state reintegrate. Analisi scientifiche hanno consentito di studiare le vernici protettive e di determinare la soluzione più idonea per restituire il manufatto in condizioni di stabilità e durabilità. Il restauro è stato eseguito dal Laboratorio di Arredi Lignei del Centro Conservazione Restauro “La Venaria Reale”, coordinato da Paolo Luciani con Andrea Minì, Francesca Coccolo, Lorenzo Dutto, Roberta Capezio, Michela Spagnolo e Valentina Tasso, sotto la direzione tecnica di Michela Cardinali e l’alta sorveglianza di Massimiliano Caldera, funzionario Storico dell’arte della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Torino.